LE CARRIOLE DI BAYEUX
Sono alla periferia di Joao Pessoa. Joao Pessoa che dista due ore di pullman da Recife. Una città i circa 600.000 abitanti dove ho fatto il prete per un paio d’anni. Questa periferia di Joao Pessoa è chiamata “Baiè” anche se il nome è scritto Bayeux, a ricordo dello sbarco degli americani l’ultima guerra mondiale. In questa periferia di più di 120.000 abitanti, ti trovi sperso su cosa fare, come agire, quali sono le urgenze e le priorità, quali sono le povertà più grandi. Ti accorgi subito di trovare qualcosa soprattutto nei ragazzi, nei bambini, sparsi in giro per le viuzze di questa periferia, nata sui “manghi”, questi fiumi melmosi che rientrano dal mare per chilometri e chilometri e dove la gente pesca i caranguejos (granchi). Ebbene, a volte è l’animo semplice, l’animo attento a cogliere le sfumature e ad avere attenzioni per la vita della gente, a volte è proprio questo atteggiamento che ti pone nella situazione ideale di capire, di intuire tutto quello che si deve fare. Appunto ho iniziato ad essere vicino alla gente, a lavorare, a non fare l’intellettuale religioso o il professionista dell’animazione. Ho cominciato a sistemare con le mie mani facendo un po’ di tutto, il muratore il falegname, a sistemare alcune cappelle e chiesette di varie comunità di questa periferia. Quindi lavorare... Lavorando ti poni nella situazione ideale di vicinanza e di disponibilità. E un mattino si presentano alla porta della mia casa tre ragazzi a chiedere aiuto. Do loro un pezzo di pane, do loro la colazione, poi li saluto dicendo Devo andare perché devo lavorare. Uno di loro dice Anche noi potremmo lavorare, possiamo darti una mano se vuoi. In quel momento non ho sentito diffidenza: sapete che i bambini di strada, i bambini in difficoltà sono tanti nelle periferie delle grandi città e a volte sono anche violenti. No, non ho sentito diffidenza. Probabilmente lo stile di vita ti semplifica, ti mette in una situazione umile di ascolto. Ho detto Venite pure, andiamo a lavorare. Li ho caricati sul mio furgoncino e siamo andati in una cappellina. Probabilmente erano già arrivati i mattoni per sistemare la chiesetta, il centro dove si riuniva la gente. Ho detto Cominciate a portare dentro i mattoni della strada, portateli dentro al recinto, altrimenti fanno una brutta fine questi mattoni. Così è incominciato questo lavoro. Poi la sera ritornavano a casa, io non so dove abitassero e ogni giorno dicevo Vi do qualcosa. Passano i giorni , sempre lavorando insieme, finché dopo circa un mese dico Adesso devo pagarvi, dopo un mese di lavoro. Vi ringrazio per quello che avete fatto, cosa vi devo dare? Stavo porgendo loro un aiuto, quando uno dei tre mi dice Ma noi vorremmo che tu ci dessi non dei soldi, ma una carriola! Io esterefatto, meravigliato, domando Perché la carriola, Ma come una carriola? Mai avrei immaginato questa richiesta. Allora mi prendono per mano, mi dicono Vieni che ti mostriamo! Ti mostriamo cosa sono le carriole! Cosa potrebbero essere per noi! E così mi accompagnano praticamente con il furgoncino e mi dicono Guarda il supermercato, vedi, poca gente ha la macchina, la maggioranza della gente fa la spesa e va a casa a piedi. Guarda quella signora anziana, se noi avessimo la carriola lì davanti, caricheremmo la spesa di quella signora, di quell’altra, la accompagneremmo con la carriola fino a casa e guadagneremmo da vivere. Poi mi portano ai mercati generali. Vedi quanta gente compra verdura, porta a casa delle sporte piene di verdura pesante. Chi ha i soldi per pagare un taxi, si fa portare a casa in taxi, ma molta sente ritorna a casa a piedi con queste sporte piene di verdure. facendo fatica o adattandosi al taxi spendendo una fortuna. Noi potremmo caricarle, portarle a casa. Insomma mi hanno presentato un'infinità di piccole attività che con la carriola avrebbero potuto fare. E allora li ho portati in città, nella ferramenta della città, si sono presi le tre carriole. Le abbiamo montate insieme e li ho salutati. E’ chiaro che loro non mi hanno lasciato. Hanno cominciato a venire a lavorare con la carriola. Hanno detto Sappiamo che devi lavorare per molto tempo e veniamo ad aiutarti. Non si trattava più di portare dentro un mattone alla volta, ma la carriola di mattoni. Tre carriole erano molto importanti. La cosa è diventata contagiosa perché altri bambini, vedendo questi tre tornare a casa con la carriola, si sono avvicinati. Insomma ho cominciato a fare una lista di bambini che venivano. Tenevo un quaderno, un registro, dove segnavo giorno dopo giorno le presenze. Alla fine dei venti giorni, e non di un mese, davo la carriola e continuavano così a lavorare gli altri dieci giorni con me con la carriola. Un'esperienza stupenda, vedere questi bambini lavorare con la carriola. Prima di tutto il lavoro. Per 1 bambini dei paesi poveri che hanno difficoltà in casa è fondamentale, è una forma di dignità, è una forma di coscienza della propria vita, delle proprie responsabilità, molto diversa da come noi invece intendiamo il lavoro per i bambini. Parliamo di bambini dai 10 ai 15 anni. E poi ti accorgi dopo un pò che hanno questa carriola, che cominciano a lavorare e a guadagnare qualcosa, ti accorgi che la loro dignità cresce perché hanno qualcosa da spendere. Vedi che cominciano a comprarsi le scarpe, poi la camicia, poi si vestono bene, poi magari vedi che vengono ad una celebrazione a cui non sono mai venuti. Adesso hanno una dignità, hanno una presentabilità. Vedi che qualcuno comincia a dire M’iscrivo a scuola. Ecco è una catena di piccole e importanti cose che nasce. E’ stata un’esperienza che ha raggiunto 320 carriole. 320 bambini. Era stupendo vedere in giro queste carriole, questi ragazzi per questi quartieri poverissimi, per questo quartiere poverissimo, pieno di viette, dove ci si perde. Mettevano un barattolino con dentro l’olio nero che viene scartato dalle macchine, con una penna d’oca per ungere la ruota perché non cigolasse. Poi le dipingevano e mettevano le manopole alle carriole. Davano un nome alla carriola. Ecco il ricordo più bello che ho: la domenica quando moltissimi di questi bambini si radunavano alle 6 del mattino al sorgere del sole, davanti, sul piazzale della chiesa principale dove io lavoravo è vivevo, si mettevano tutti in cerchio con la propria carriola e lì recitavamo seduti per terra sul selciato una preghiera, Padre Nostro. Auguravo loro una buona giornata e davo loro il pane che preparavo il giorno prima, e con questo pane e con questo saluto li vedevi in fila che andavano tutti ai mercati generali dove c’era posto per tutti. Era proprio il piccolo segno della carriola che produceva loro questo senso orgoglioso di dignità, al punto poi che alcuni registravano presso al distretto di polizia locale la propria carriola, con un documento di proprietà perché potessero denunciarla quando veniva rubata, o perché i genitori, presi a volte dalla necessità della fame non togliessero loro questo bene non lo vendessero. Così questa è la storia delle carriole di Bayeux. Ancora oggi, pensandoci, mi lascia una grande nostalgia e mi fa pensare quante soluzioni piccole per problemi grandi. Un piccolo segno contro il fenomeno della marginalità dei bambini. Era Bello perché vedevi quei due ragazzi con la carriola che facevano il trasloco di una famiglia povera. Li vedevi davanti ai supermercati. Insomma li vedevi dappertutto. E il mattino presto spalancavi la finestra di casa tua e ti capitava di sentire fratellini gridare Pane! Pane! Pao! Pao! Compravano il pane a credito dal fornaio, andavano in giro per le case gridando Pane! E poi consegnavano i soldi al fornaio tenendo una percentuale per loro. Con loro ho potuto fare tantissimi lavori, in questi piccoli luoghi di raccolta delle varie comunità, di questa grande periferia. Tutta un’infinità di piccole cose che mi ha insegnato a ricercare nel piccolo la soluzione dei grandi problemi. Questa è un’esperienza che mi ha lasciato gioiosamente un ricordo bello.
(testo tratto da Le carriole di Bayeux – Operazione Cachoera de Pedras racconta – testo italiano – Mador produzioni, Bussero (MI) - dicembre 2001)
Di questo periodo a Bayeux Sandro parla anche nel libro Saudade do Sertão (immagini e vita del Nordest brasiliano), libro edito nel 1993
C'erano con Sandro don Vincenzo Zambello e don Felice Tenero.
Scriverà in seguito Sandro: "Periferia piena di problemi, forse non ho sostenuto l'urto, o forse la nostalgia del Sertão mi impediva piena libertà" (Pagine Scartate (2005), pag 120)